Con la sentenza n. 139 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, co. 3, e 31, co. 2, Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Firenze, nella parte in cui tale disposizione non prevede che la messa alla prova del minore possa essere disposta nella fase delle indagini preliminari.
La Consulta ha rilevato, anzitutto, la profonda differenza funzionale esistente tra la messa alla prova del minore e quella dell’adulto, l’una avente finalità essenzialmente rieducativa, l’altra viceversa connotata da innegabili tratti sanzionatori (sent. cost. n. 75 del 2020 e n. 68 del 2019). Tra i profili distintivi dei due istituti viene evidenziato dalla Corte quello correlato agli obiettivi di deflazione processuale, presenti nella messa in prova per gli adulti e totalmente estranei, invece, alla messa alla prova dell’imputato minorenne, la cui disciplina appare orientata in senso rigorosamente personologico. Se l’istituto per gli adulti ha carattere “negoziale” e assume nelle indagini preliminari una configurazione “patteggiata” per la necessità di un accordo tra l’indagato e il pubblico ministero, la messa alla prova per i minorenni è, al contrario, istituto ad applicazione officiosa e illimitata, non essendo condizionato dalla richiesta dell’imputato, né dal consenso del pubblico ministero, né sottoposto a limiti oggettivi di pena edittale.
Ciò premesso, la Corte ha ritenuto eterogeneo, rispetto alla norma censurata, il tertium comparationis individuato dal giudice rimettente nell’art. 464-ter c.p.p. e, per questo, ha dichiarato non fondata la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
Inoltre, la scelta legislativa di non consentire la messa alla prova del minorenne nella fase delle indagini preliminari non può considerarsi contraria al principio del finalismo rieducativo. È ciò che si evince da quanto affermato dalla Consulta, là dove rimarca come la finalità essenzialmente rieducativa della messa alla prova minorile si oppone a un’eccessiva anticipazione procedimentale delle relative valutazioni. Appare dunque ragionevole la collocazione dell’istituto dopo l’esercizio dell’azione penale, poiché ciò assicura che le valutazioni personalistiche inerenti alla messa alla prova del minore siano esercitate su un materiale istruttorio sufficientemente definito, oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i riflessi personalistici (v. § 4.5.1., Considerato in diritto).
Sotto quest’ultimo aspetto, in particolare, la Corte ribadisce che l’assegnazione della messa alla prova del minore al giudice dell’udienza preliminare e non anche al giudice per le indagini preliminari appare conforme ai parametri del finalismo rieducativo di cui all’art. 27, co. 3, Cost. e della protezione della gioventù di cui all’art. 31, co. 2, Cost. Infatti, tra g.u.p. e g.i.p. la struttura dell’organo giudicante è diversa: collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere nel primo caso, monocratico e togato nel secondo. La peculiare composizione “mista” del giudice minorile dell’udienza preliminare, con il contributo decisorio dei componenti esperti, si rivela essenziale nell’ambito di un istituto, come la messa alla prova del minore, in cui l’aspetto personologico è assolutamente centrale (v. § 4.6.6., Considerato in diritto).
Pertanto, la Corte costituzionale ha dichiarato le questioni non fondate, in riferimento a tutti i parametri evocati.